Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.
Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947
Ci sono moltissimi motivi per scrivere, moltissimi modi di dare forma ai propri pensieri. Tra tutti i perché che ci possono essere ce n’è uno che ci interessa più di altri: voler cambiare il mondo.
Potrebbe apparire come un’aspirazione un po’ arrogante e a tratti illusoria, e forse lo è, eppure nasce da un’esigenza trasversale e onnipresente nella storia dell’umanità: le cose non vanno affatto bene, dobbiamo fare qualcosa.
Non che serva dirlo, ma è giusto ribadire che le considerazioni sui come e i perché le cose vadano male sono molteplici e a volte pure in contrasto tra loro, allo stesso modo lo sono e saranno le strade che l’umanità ha tentato per arginare o risolvere i problemi che ha individuato nel corso delle sue vicende. Alcuni sono problemi antichi, altri di più recente sviluppo, altri ancora devono ancora emergere. Non sta a noi sentenziare o prescrivere quali siano i percorsi corretti, sappiamo però che la strada è ancora lunga e tortuosa e che solo nella condivisione di conoscenze ed intuizioni, anche quando si sono rivelate fallaci o parziali, possiamo alleggerire il carico di chi sceglie di camminare sui sentieri dei nidi di ragno e ampliare lo spetto delle sue abilità decisionali.
OMNIA SUNT COMMUNIA
Tutto è in comune, non c’è azione o pensiero che non influenzi il pensiero e l’azione altrui e questo è particolarmente evidente nella società massificata, nella quale i comportamenti normati si perpetuano più perché abbiamo la percezione (spesso deliberatamente alterata) che siano normali, prima ancora che giusti, o che comunque non ci sia alternativa altra. La produzione letteraria di chi ha provato a sfidare il senso comune, anche solo con la testimonianza dei propri tentativi, è vastissima e abbraccia forse tutti gli aspetti dell’interesse umano, ma solo un piccola parte di quel sapere riesce a farsi largo nel sistema info-fognario (per dirla alla Blissett) nel quale sguazziamo fino a farsi “cultura”.
Tutto è cultura. Che ci piaccia o meno persino Fabio Volo ha contribuito a “dare forma al mondo”, sfortunatamente più di altro, ma come è possibile? Le ragioni sono varie e sarebbe poco interessante soffermarci su tutti motivi per cui alcune opere cadono nel dimenticatoio e altre invece attraversano i secoli e i continenti; di certo c’è che oggi, quello della cultura, è un mercato dominato dalla grande distribuzione e dalle sue esigenze di marketing, come qualsiasi altro mercato dopotutto.
La cultura che ci interessa è quella che serve a non servire, quella che in un tempo remoto veniva chiamata controcultura, quella che si proponeva come portatrice di alternative e infrangeva regole e codici, sobillando menti e istigando l’azione sovversiva in ogni ambito, quella che se non trovava degli spazi di espressione, se li prendeva e li difendeva, producendo materiali di ogni sorta e tipo.
Non che oggi non continuino quelle esperienze o che non venga più prodotto materiale di qualità, anzi, proprio grazie delle rotture del tempo, quelle tematiche sono affrontate negli spazi accademici, nei musei, nelle numerosissime case editrici indipendenti. E questo è un problema. Un vecchio problema.
L’accesso a quei saperi è subordinato alle disponibilità materiali di chi approccia quei luoghi, che siano biblioteche o librerie o altro, la diffusione del pensiero critico, quindi dei suoi perimetri d’azione, trova la propria dimensione nella marginalità dettata dal sacro principio della proprietà privata.
Che cos’è la proprietà? La proprietà è un furto.
Pierre-Joseph Proudhon, 1840
Gli spazi fisici e digitali che si sono dati l’obiettivo di rendere la cultura più libera ed accessibile non mancano di certo, ma hanno la tendenza (inevitabile) a risultare come grossi archivi privi di anima, in cui il sapere è impilato, categorizzato, svuotato di ogni sua carica potenziale e spesso dimenticato.
Anche se la produzione e la circolazione di materiale si è intensificata grazie alle piattaforme digitali, è anche vero che la qualità e la complessità dei ragionamenti si è appiattita notevolmente e ha perso la sua prospettiva storica anche nel medio termine. Pare sempre di dover ricominciare da zero, di discutere sempre delle stesse cose, vittime delle proprie volubili “bolle” sociali, in cui tutta la dimensione del ragionamento collettivo precipita sull’atto individuale di ricerca o studio e, di conseguenza, sulla disponibilità personale di avere accesso alle espressioni meno “popolari” dell’iniziativa umana .
Nello specifico, la cultura ribelle soffre doppiamente questa condizione: da un lato il suo tratto sovversivo è stato pacificato dandole spazio in vere e proprie istituzioni, dall’altro la possibilità di continuare il proprio sviluppo nella dimensione pubblica si è contratta proprio attorno a quei luoghi di privilegio, nei quali le soggettività marginalizzate difficilmente hanno desiderio di avventurarsi.
Ecco magicamente che la possibilità di vedere le alternative a ciò che va male scompare dal ventaglio delle idee di chi quel male più lo percepisce: non sanno che ci sono, che sono già stati fatti dei tentativi e che non è da zero che si deve partire. E la colpa è tutta nostra, perché abbiamo preferito l’illusione di possedere il nostro pensiero e sostenerci economicamente con il suo possesso, anche se in modo irrisorio, alla diffusione massima delle nostre idee dissidenti.
Robin Book opera per espropriare la conoscenza ribelle e ridistribuirla a chiunque la necessiti in forma decentralizzata. Come? Senza chiedere il permesso! Andando a ripescare ciò che abbiamo dimenticato o ciò che non ha mai avuto una traduzione in italiano, trascrivendo parola per parola ciò che si sta scolorendo, digitalizzando e dando nuova vita e forma a ciò che non si trova fuori dai reliquiari. Fornendo a chi lo desidera la possibilità di diffondere in autonomia e liberamente ciò che abbiamo restaurato o rieditato. Con quale criterio? Su quali argomenti? Molto semplice! Su tutto ciò che ci può sembrare utile alla causa.
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Non è nostra intenzione procurare danni economici a chi si prodiga (con grande fatica, lo sappiamo) alla diffusione del pensiero alternativo, è proprio il contrario, è per dimostrare che ciò che fanno ha un valore che va ben oltre il suo aspetto economico, che proprio quel valore monetario ne è la mortificazione più oscena e infame. Noi vogliamo sfidare un principio, una convenzione fatta di stupide licenze che non hanno senso di esistere e che non dovrebbero esistere affatto!
Nonostante questo, per rispetto delle fatiche autoriali ed editoriali ci sottrarremo dalla tentazione di espropriare materiali con meno di 3 anni dalla prima pubblicazione, cercando di concentrare le nostre attività di ladrocinio su titoli di difficile reperibilità o inediti in italiano, premurandoci sempre di segnalare fonti e riferimenti, senza mai alterarne i contenuti. Vi serve una licenza per fidarvi della nostra buona fede? Noi crediamo di no.
Robin Book vuole essere qualcosa di più di un bandito digitale, ma essere un veicolo per la trasformazione politica e, per quanto ne possano dire gli amanti dei network digitali, questo tipo di trasformazioni avvengono nella dimensione della fisicità, della prossimità e delle sue sfide. Per questo motivo, oltre al catalogo digitale gratuito, alcuni titoli (inediti in italiano o riedizioni particolari) saranno disponibili anche in versione cartacea in un numero di copie limitate a costo di stampa. Crediamo che l’oggetto di carta, possa incentivare un approccio più sano alla conoscenza e al suo scambio, che possa permanere nel tempo in modo più incisivo ed altresì promuovere un’interazione più significativa con chi lo potrebbe desiderare.
La nostra attività non sarà mai a scopo di lucro, ma stampare costa. Al fine di poter garantire un accesso trasversale alle versioni cartacee che selezioneremo, per ogni singolo titolo attiveremo una raccolta fondi dedicata con diverse opzioni di acquisto pensate per incentivare l’acquisto collettivo e la diffusione locale, calcolato sulla produzione minima di 25 copie (è il numero attorno al quale, stando alle nostre stime, il rapporto quantità/prezzo cadauno diventa davvero popolare). Nel caso dovesse essere superata, tutto il ricavato verrà impiegato per la stampa del numero massimo di copie possibile, che potrai trovare al costo di stampa nell’Emporio di Robin. In caso contrario, l’opera rimarrà in forma esclusivamente digitale e disponibile per la stampa autonoma. Con questo meccanismo di produzione decentralizzata e collettivizzata, pensiamo si possa sfuggire ai dettami della distribuzione culturale mainstream e costruire una rete solidale di luoghi ed organizzazioni al di fuori delle logiche di mercato che avvelenano e strangolano la riflessione collettiva. Ogni organizzazione, che sia una libreria, un centro culturale o circolo, verrà segnalata in modo da poter fungere da polo territoriale di interscambio e incontro.
La morale ha standard estetici, sosteneva Nietzsche e anche se la cosa non ci aggrada affatto, la diffusione del pensiero marginalizzato e minoritario non si sottrare a questo principio, ma troppo spesso lo trascura e ne ignora le potenzialità. Sarà nostra premura dare ad ogni articolo l’aspetto che si merita, promuovendo i principi di accessibilità e approfondimento che la complessità che ci interessa necessita per potersi diffondere al massimo. La coscienza critica è un bagaglio ingombrante, per questo motivo le nostre edizioni cartacee saranno ingombranti tanto quanto (così sono pure più leggibili).
Robin, come promotrice dell’avanguardia, ti invita ad inoltrare anche le tue/vostre produzioni originali specificando come desideri condividerle (solo digitale o anche cartacea) e se necessiti di assistenza (es: impaginazione o altro). Nel caso in cui volessi pubblicare in modo anonimo, il tuo scritto verrà distribuito a nome di Robin Book. Ti invitiamo anche a segnalarci opere che potrebbero interessarci o che vorresti veder tradotte in italiano, cercando per quanto possibile di motivare il tuo desiderio in modo esaustivo, ma conciso. Ci riserviamo il diritto di non pubblicare ciò che riterremo non inerente, inappropriato o lesivo dei nostri principi redazionali, che sono di larghe vedute, MA FINO AD UN CERTO PUNTO EH.
Per qualsiasi domanda, dubbio, informazione o proposta scrivici a robinbookgang@gmail.com
Fate crescere l’azione, il pensiero e i desideri per proliferazione, giustapposizione e disgiunzione, anziché per suddivisione e gerarchizzazione piramidale.
Michel Foucault, “Introduzione alla vita non fascista”, 1977
In continuità con i principi che abbiamo appena espresso, la dichiarazione di guerra all’autorità culturale, la sfida alla mercificazione della coscienza politica, l’assalto alla proprietà come concetto e pratica mortifera e mortificante, la collettivizzazione e socializzazione del sapere come approccio strategico, non possono e non devono rimanere un’esclusiva dell’intuizione di Robin e della sua manifestazione pratica. Robin Book non è un’organizzazione o un collettivo, ma un metodo della conflittualità che guadagna il suo valore qualitativo nella moltiplicazione dell’azione autonoma coordinata e solidale, nella compenetrazione dei circuiti post-ideologici e delle loro relative bolle sociali, nello sviluppo e nella promozione della critica tra dentro e fuori, tra noi e voi, tra noi e loro, nel dialogo constante e perenne tra teoria e pratica. L’unico modo per farlo con serietà e onestà, oltre le dichiarazioni d’intenti e le belle parole, è pertanto mettere a disposizione le riflessioni che guidano la nostra azione politica in modo che possano essere non solo conosciute, ma criticate e migliorate.
Puoi leggere le nostre considerazioni e riflessioni sulla distribuzione decentralizzata informale e autonoma
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