C’è chi dice sessantotto
Non è passato nemmeno un mese dall’occupazione della Columbia Universiy di New York e del dilagare, in nord america e oltreoceano, di altre occupazioni e accampamenti, più o meno permanenti e più o meno repressi brutalmente, che c’è già chi annuncia pomposamente l’alba di un nuovo sessantotto.
Che ci siano delle assonanze ed analogie tra le grandi manifestazioni in solidarietà al popolo palestinese di oggi e gli eventi epocali che fecero tremare i potenti del blocco occidentale ai tempi della guerra in Vietnam è abbastanza evidente. Un accostamento tutto sommato superficiale se ci limitiamo a considerare in modo molto generico il macro argomento guerra – manifestazioni per la pace.
Non è molto importante soffermarsi su un’analisi delle affinità e le divergenze tra ieri ed oggi, l’aspetto rilevante, osservando questi eventi con uno sguardo prettamente militante, è che quel sessantotto sappiamo come è andato a non-finire.
È solo con un atteggiamento di continuità, che in una certa misura si arroga anche il diritto di strappare il testimone politico a qualche barboso militante che ancora pretende di custodirlo per merito, che possiamo procedere, o accelerare, nella Nostra Storia.
Con questa pubblicazione, e come missione generale di Robin Book, vogliamo provare ad innescare una riflessone che, nata senza ombra di dubbio anche dal sentimento di complicità con la resistenza palestinese, possa strabordare dal perimetro politico che vede come vertenza principale quello dell’interruzione dei rapporti istituzionali - statali (finanziamenti, accordi ed intromissioni ad ampio livello) tra i nostri paesi, l’entità sionista e i soggetti terzi che servono da lubrificante economico, sociale e politico all’industria bellica e alla sua retorica.
Nel contesto universitario, anche ipotizzando una completa e definitiva recessione dei legami con il regime sionista di apartheid e dei suoi foraggiatori (cosa alquanto improbabile), non possiamo permetterci di non considerare gli istituti pubblici di formazione e ricerca di tutti i livelli e gradi come agenti responsabili dell’alimentazione, della legittimazione e della riproduzione non solo di un vago status quo, ma di un’ideologia politica ben precisa e ben più mortale e mortificante di quanto potrai mai essere l’entità sionista.
Gli istituti di formazione di ogni grado sono fabbriche sociali. La società ha bisogno della merce prodotta da queste istituzioni solo nella misura in cui, questa merce, non discute del mercato.
«Ogni vantaggio di cui godo, ogni idea che ho avuto il tempo di acquisire o di elaborare, sono pagate con il sangue, le sofferenze e il lavoro di milioni di persone. Il passato non posso cambiarlo e, per quanto caro sia costato il mio sviluppo, non posso rinunciarvi»
Dagli aspetti specifici di ogni corso di studio, a quelli amministrativi e relativi all’accessibilità reale del diritto di studio, combinati all’evidente processo di depauperazione (in favore del privato), di aziendalizzazione e di repressione – militarizzazione, affiancati alle dinamiche economico-sociali territoriali, la macchina che ci si prospetta di fronte, parlando di sistema educativo, non ha solo delle responsabilità “morali” nella partecipazione industriale (bellica), ma ha soprattutto delle responsabilità politiche nei confronti del sistema sociale che alimenta e che “””teoricamente””” dovrebbe contribuire a migliorare.
Questa non è una scoperta di oggi o chissà quale rivelazione. Quello che ci sembra importante fare ora è avviare dei percorsi di fuoriuscita e abolizione di questi modelli educativi. E non dobbiamo farlo da zero. Proprio in quel sessantotto (anzi prima), queste consapevolezze cominciarono a camminare e a svilupparsi in seno ai movimenti studenteschi.
Libere università, contro università, università critiche, università alternative nacquero spontaneamente in moltissime città occidentali.
«Non possiamo aspettarci niente dall’università tradizionale se non la concepiamo e la pratichiamo ex-novo.»
Nel cercare di ravvivare il dibattito politico di oggi e contribuire a quello che non è stato finito allora abbiamo ritrascritto e restaurato due documenti (molto diversi tra loro) pubblicati al tempo proprio come risposte a questi stimoli: Kritische Universität. Documenti e programmi della contro-università degli studenti berlinesi. (Marsilio Editori, giugno 1968) e il Manifesto per una Università Negativa (Facoltà di Sociologia di Trento, novembre 1967).
In aggiunta ci è sembrato interessante riportare anche alcuni altri testi che abbiamo tradotto e “confezionato” in questo opuscolo, in modo che possa circolare stampato dentro e fuori dagli atenei.
Come prima cosa abbiamo preso la Columbia. Lezioni dall’aprile 1968. di AA.VV, tradotto da Robin Book e originariamente pubblicato su Ill Will il 20 aprile 2024
Anche l’università va distrutta. Identificare gli antagonismi in un mondo di genocidi. di Long Leaf Distro, tradotto da Robin Book e originariamente pubblicato su Sediotionist.uk a fine aprile 2024
Verso una politica del corpo-barricata. di Tadeo Cervantes, tradotto da Internazionale Vitalista e pubblicato originariamente su Artilleria Inmanente il 14 febbraio 2021